DI CHI E’ IL SAX DI ‘ENGLISH MAN IN NEW YORK’

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Roba da cultori. Alcuni momenti della musica, che siano racchiusi in poche battute, intro spettacolari o assoli da togliere il fiato, vengono ‘collezionati’ come eventi straordinari, perché lo sono. E’ il caso del grido di ‘Great Gig In the Sky’ dei Pink Floyd affidato alla voce di Durga McBroom, del solo di chitarra elettrica che Prince suona in ‘Purple Rain’ o l’immagine iconica di Hendrix che brucia la sua Fender Stratocaster, o ancora il geniale inserimento di una parte lirica in ‘Bohemian Rhapsody’ dei Queen, le vocalizzazioni armoniche di Rita Marley e compagne. Ci sono passaggi che possono essere considerati all’unanimità piccoli capolavori all’interno di grandi opere d’arte. 

Come il sassofono di Branford Marsalis in “English Man In New York” di Sting, indimenticabile per una serie di ragioni. Innanzi tutto va ricordato che la canzone si ispira al famoso scrittore, attore ed icona gay degli anni ’70 Quentin Crisp e alle sue esperienze come emarginato, anche in seguito al trasferimento da Londra a New York nel 1986. Sting trascorse diversi giorni con l’autore e, successivamente, lui stesso dichiarò di aver provato sulla propria pelle l’alienazione della grande mela.

Dalla prima all’ultima nota, il brano ha i colori del jazz proprio per la scelta di inserire il sassofono, affidando la parte al jazzista Marsalis e di permettere lo sviluppo di una narrazione che scorre parallelamente al testo, ma che allo stesso tempo ne enfatizza il significato. Il sax del più grande dei numerosi fratelli Marsalis, tutti jazzisti, sembra proprio dar voce a quel ‘alien in New York’, tanto diversa da conquistare l’attenzione e capace di trasportaci in una un’altra dimensione, quasi onirica, giusto per ricordarci che la solitudine è invece qualcosa di reale, una condizione umana anche drammatica, perfettamente descritta dalla tonalità minore utilizzata ad arte da Sting, che in questo brano più che mai dimostra classe, bravura e cuore.

Il sassofono, che inizialmente è più ‘in disparte’, in un crescendo di emozioni a metà del brano prende il sopravvento e diventa leader di una straordinaria ‘jam session’ swing alla quale vorremmo tutti assistere. Una sorta di auto affermazione, una forma quasi di protesta – tipica del jazz – che all’indifferenza generale si impone alzando i volumi e mostrandosi senza filtri in tutta la sua diversità. Un gancio perfetto per le parole che seguiranno e che diventeranno un mantra, un consiglio importante che viene dal mondo dell’arte e della musica, sempre un passo avanti rispetto a tutto il resto: BE YOURSELF NO MATTER WHAT THEY SAY! 

.. e sul finale
“If I have an ambition other than a desire to be a chronic invalid, it would be to meet everybody in the world before I die… and I’m not doing badly.”
“Se avessi altra ambizione oltre a quella di essere un invalido cronico, sarebbe quella di conoscere tutti gli abitanti del mondo prima di morire….e non me la sto cavando male!”

Torno in questo post dopo qualche giorno. Ma per una cosa importante. Ho scritto, anzi Twittato a Branford Marsalis, il quale mi ha risposto così: LINK al Tweet

Branford Marsalis_twitter_tweet

di C. Piraino

 

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