BLACKSTAR E IL JAZZ CONTEMPORANEO

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Ho chiesto al mio amico musicista, e bravissimo scrittore di cose di musica, Luca Nostro, di raccontarmi il suo punto di vista sull’incontro fortuito tra David Bowie e il jazz di Donny Mccaslin che ha prodotto l’ultimo meraviglioso disco del Duca Bianco “Blackstar”. Un post da leggere tutto d’un fiato. Grazie Luca

Quando ho saputo che Donny Mc Caslin con il suo fantasmagorico gruppo (Jason Lindner, Tim Lefebvre e Mark Guiliana, con l’aggiunta di Ben Monder alla chitarra) stava lavorando al nuovo disco di David Bowie, a parte realizzare che sarei potuto arrivare a Ziggy Stardust con una sola persona in comune (!), ho pensato a quando ho visto Donny per la prima volta con il suo gruppo quasi dieci anni fa alla Jazz Gallery a New York. In quel momento ho deciso che sarebbe diventato la voce della mia musica e che avrei inciso il mio primo disco da leader con lui. Poi negli anni successivi ho avuto la fortuna di conoscerlo meglio e di suonarci anche insieme anche dal vivo, una persona mite e serena ma con un’urgenza espressiva fuori dal comune, sempre e comunque al servizio della musica e della canzone.

Nel suo linguaggio ritmico e nel suo suono si annidano quelle sfumature che tengono insieme il jazz con il funk, il due con il tre, il rock con la canzone d’autore.

Ho sempre pensato che se il mio gruppo preferito, i Led Zeppelin, avessero avuto bisogno di un sassofonista sarebbe per forza dovuto essere lui, aggressivo e tagliente, avvolgente. Con questo gruppo una sera al 55 Bar c’era la stessa primordiale violenza di un concerto degli Zeppelin al Whisky a Go Go, prima con Antonio Sanchez alla batteria e poi con Mark Guiliana che in un momento di trance fece quasi a pezzi il charleston. Ma la cosa sorprendente fu vederli la mattina successiva nel glorioso studio Systems Two, dove stavo mixando un disco, riprendere dal punto in cui avevano smesso poche ore prima, ma questa volta in cuffia e senza altro pubblico che i microfoni e i pannelli vari della sala ripresa.

Per questo non mi ha sorpreso che David Bowie, insieme al suo produttore Tony Visconti, abbia scelto questo gruppo per il suo testamento musicale, Blackstar, disco bellissimo e pieno di vita perché vicino alla morte. Con semplicità la popstar inglese è diventato un altro membro della band, immagino il relax e la creatività che si respirava in quello studio. E ha dimostrato che cosa significa abbandonare le proprie certezze proprio quando si sa di dover morire, per cercare ancora una volta di dire qualcosa che non è stato ancora detto, altrimenti meglio il silenzio.  La musica di Donny e del suo gruppo ne esce trasformata, distillata, in un pop d’avanguardia in cui l’improvvisazione sembra scritta e la scrittura sembra improvvisata. Merito di quel Grande Ascoltatore che è David Bowie, che ha la grazia del genio e la leggerezza di una voce diafana e penetrante, che approfitta dei suoni per dire parole sommesse e universali, rimanendo a volte in primo piano, altre volte sullo sfondo, ma sempre dentro la musica. Due camaleonti che si incontrano non prendono mai lo stesso colore, non hanno bisogno di mimetizzarsi l’uno con l’altro. Ma rimangono pur sempre due camaleonti.

 

di LUCA NOSTRO
febbraio 2016

 

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