Non bastano le parole per spiegare la gioia che provo in questo momento. Erri De Luca è stato assolto da un’accusa assurda e infamante di ‘istigazione a delinquere’ per aver espresso il suo pensiero di scrittore, di amante della natura e della vita. La sua parola contraria. Tuttavia, non dirò né ‘viva l’Italia’ né che ‘la giustizia ha trionfato’. Perché il solo fatto di essere arrivati a questo punto, oggi, è di per se una sconfitta del progresso e delle istituzioni. Della giustizia.
Di questa vicenda mi rimarrà per tutta la vita l’esempio di forza, coraggio e coerenza che Erri, nel suo essere proprio Erri De Luca, mi ha insegnato.
La dichiarazione di Erri De Luca del 19 Ottobre 2015, prima della sentenza che lo ha assolto.
“Sarei presente in quest’aula anche se non fossi io lo scrittore incriminato per istigazione. Ad di là del mio trascurabile caso personale, considero l’imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie. Perciò considero quest’aula un avamposto affacciato sul presente immediato del nostro paese. Svolgo l’attività di scrittore e mi ritengo parte lesa di ogni volontà di censura.
Sono incriminato per un articolo del codice penale che risale al 1930 e a quel periodo della storia d’Italia. Considero quell’articolo superato dalla successiva stesura della Costituzione della Repubblica. Sono in quest’aula per sapere se quel testo è in vigore e prevalente o se il capo di accusa avrà il potere di sospendere e invalidare l’articolo 21 della Costituzione.
Ho impedito ai miei difensori di presentare istanza di incostituzionalità del capo di accusa. Se accolta, avrebbe fermato questo processo, traferito agli atti nelle stanze di una Corte Costituzionale sovraccarica di lavoro, che si sarebbe pronunciata nell’arco di anni. Se accolta l’istanza avrebbe scavalcato quest’aula e questo tempo prezioso.
Ciò che è costituzionale credo che si decida e si difenda in posti pubblici come questo, come anche in un commissariato, in un’aula scolastica, in una prigione, in un ospedale, su un posto di lavoro, alle frontiere attraversate dai richiedenti asilo. Ciò che è costituzionale si misura al pianoterra della società.
Inapplicabile al mio caso le attenuanti generiche: se quello che ho detto è reato, l’ho ripetuto e continuerò a ripeterlo.
Sono incriminato per avere usato il verbo sabotare. Lo considero nobile e democratico. Nobile perché pronunciato e praticato da valorose figure come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici. Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento operaio e alle sue lotte. Per esempio uno sciopero sabota la produzione. Difendo l’uso legittimo del verbo sabotare nel suo significato più efficace e ampio. Sono disposto a subire condanna penale per i suo impiego, ma non a farmi censurare o ridurre la lingua italiana.
“A questo servivano le cesoie”: a cosa? A sabotare un’opera colossale quanto nociva con delle cesoie? Non risultano altri insidiosi articoli di ferramenta agli atti della mia conversazione telefonica. Allora si incrimina il sostegno verbale a un’azione simbolica? Non voglio sconfinare nel campo di competenza dei miei difensori.
Concludo confermando la mia convinzione che la linea di sedicente alta velocità in Val di Susa va ostacolata, impedita, intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa della salute, del suolo dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata. La mia parola contraria sussiste e aspetto di sapere se costituisce reato.”
Il sorriso di Erri illumina tutto
Questo post è dedicato a Paola
di C.Piraino