In un edifico occupato in cima a Viale Trastevere lato fiume sorge il Cantiere del Jazz. Qui, oltre a un regolare cartellone d’eventi che spaziano dalla recitazione alle danze africane, musica e iniziative di diversa natura, ha trovato sede per questa stagione Agus Collective. Già la scorsa settimana avevo espresso la mia curiosità circa questo collettivo e, per dirla tutta, la loro comunicazione ‘non comunicativa’ mi aveva procurato confusione, esattamente come tutte quelle cose che d’improvviso rompono uno schema.
Quindi ieri sera sono andata a vedere, per sapere. Arrivata al civico 92 di Via Gustavo Modena, si percepisce immediatamente l’idea di un gruppo, appunto un collettivo. Qui ogni persona che vedo è intenta a fare qualcosa, preparare la cassa, sistemare il palco, controllare i cavi, verificare le luci o sistemare un’area di piccola ristorazione, anche se manca veramente poco all’inizio del concerto. Per me è una piacevole confusione e subito riconosco, nonostante la penombra avvolgente e intrigante, alcuni musicisti. Armando Sciommeri, batterista, è il primo che incontro. Non perdo tempo e vado dritta al mio obbiettivo. Sferro una raffica di domande… chi siete, che fate, dove volete arrivare.. e soprattutto perché?
Vengo illuminata. Agus è un collettivo di 15 musicisti di jazz che con lo slogan Jazz Zone offrono una programmazione che apparentemente si oppone agli ‘ordini costituiti’ – il sistema club per intenderci – che loro considerano ‘non’ alla portata di un pubblico veramente allargato. Per diversi motivi. Primo fra tutti quello economico. Per cominciare diremo che i musicisti qui sono i padroni di casa e non gli ospiti; alle persone che una dopo l’altra si cominciano ad affacciare alla porta del Cantiere Jazz chiedono con grande autoironia ‘quanto vuoi per entrare?’. Il biglietto costa solo 5 euro e assicura un posto comodo nella platea di cinquanta poltrone rosse, che scende in picchiata verticale sul palco. Un’enorme slargo anch’esso rosso dove posso già immaginare i musicisti godersi la propria performance. Vediamo come sarà .. Tra poco suonano i Telegraph, band da Benevento che punta alla sperimentazione estrema mantenendo uno stretto rapporto, quasi maniacale, con la partitura.
Provo a interpretare la lista delle motivazioni che mi vengono date. Agus Collective, prima di ogni cosa, mostra che è avvenuto un cambiamento importante, ovvero un ribaltamento dei ruoli causato dalla necessità che questa crisi ci ha portato. Il problema impone di trovare una soluzione. E’ in questo momento, quando si tocca il fondo o lo si intravede, che la spinta creativa si contrappone alla caduta e, come risultato, ti offre inevitabilmente un’altra strada da percorrere. Agus Collective, così facendo, si autoproclama padrone assoluto della sua arte e per farlo prende iniziativa in modo diretto tagliando via ogni eventuale mediazione. Per offrire al pubblico qualcosa fatto completamente con le proprie mani, nel bene e nel male, prendendosene ogni responsabilità, colpa e merito.
La motivazione ufficiale, che con premura ci tengono a sottolineare è che Agus Collective nasce ‘affinché il jazz sia alla portata di chiunque abbia 5 euro da spendere e altri pochi euro per un bicchiere di vino rosso’. Beh, molto nobile, ma io preferisco la vostra dichiarazione non dichiarata di opposizione a schemi troppo assimilati, dentro i quali ci siamo tutti barricati, con risultati purtroppo non sempre positivi. La flessibilità e la capacità di cambiare sono fattori chiave in questa epoca storica. Di fatto non potete nascondervi dietro un altruismo manifesto. Siete Artisti e siete sulla buona strada per offrire nuove possibilità e una nuova visione delle cose.
Intanto accanto a me arriva l’aroma di un rustico alle verdure.. Eh si sembra proprio di essere in casa o in una jam session domenicale a New York. Ma siamo a Roma e, aprendo bene gli occhi, mi accorgo che tutto si sta muovendo intorno a me. Forse il dolore è stato necessario.
MAGGIORI INFORMAZIONI
TELEGRAPH su BandCamp opera con la supervisione al mix di Luca Bulgarelli
“Giovanni Francesca, chitarra e live electronics, Dario Miranda, basso, el-basso, Kalimba, box Shruti e live electronics e Aldo Galasso batteria. La loro musica difficile da catalogare, si muove tra rock, jazz, musica classica e sperimentale, il tutto filtrato da live electronics. Questi musicisti stanno cercando di trovare un sound più personale e aggressivo, pur mantenendo in modo ossessivo la qualità della loro musica. ” Leo Feigin della Leo Records, piccola società indipendente che produce musica fortemente innovativa basata sull’improvvisazione.
di Cristiana Piraino