LIBRO. VERONA, Itinerari di Storia e d’Arte

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In queste ore si parla molto della città di Verona e del triste caso di pestaggio avvenuto lì nei giorni scorsi per cause pseudo-politico-antisemite (antichi, anzi scaduti!!!) e culminato ieri con il decesso di un giovane uomo, dopo cinque giorni di inutili tentativi di rianimazione.

Verona però è tante altre cose, perchè oltre ad essere il capoluogo di una terra calda e molto accogliente, è una città ricca di richiami culturali e turistici, che la rendono bellissima e molto piacevole da visitare. Inoltre  RomaLiveMusic apprezza molto Verona per essere la città “Arena Musicale” per eccellenza, perchè ospita ogni anno gli eventi musicali tra più importanti in Italia.  

Per conoscere meglio la città di Giulietta e Romeo, presento in questo post, un brano inedito tratto dal libro di R. Piraino VERONA PATRIMONIO DELL’UMANITA’ Itinerari di storia e d’arte, attualmente in stampa.   

GIARDINO GIUSTI

Non lontano da Santa Maria in Organo e alle pendici del Colle San Pietro, sta Palazzo Giusti con il Giardino, le cui origini risalgono alla fine del ‘400. Svolgendosi parte in piano, dove sorge il palazzo, e parte risalendo il colle, culmina in un belvedere sulla Città di grande suggestione. Nonostante abbandoni, vandalismi e danni causati dalla seconda guerra mondiale, il Giardino è sopravvissuto alle avversità, sia pure mutando in parte d’aspetto. Nel ‘700 il complesso aveva già la forma che, con le modifiche in chiave romantica apportate dopo il 1856, corrette nel restauro del 1930, osserviamo oggi. La disposizione del giardino è documentata dalla stampa pubblicata a Norimberga nel 1714 da Christian Volkamer nelle sue Nurbergisches Hesperides. L’autore tedesco, che fissa l’immagine del Giardino com’era agli inizi del XVIII secolo, restò fortemente impressionato dalle piante di agrumi lì coltivate. La parte più antica del giardino, concepita a hortus conclusus, impostata con gusto geometrico attorno alle fonti d’acqua, è quella in piano. 

Attorno alla seconda metà del ‘700 vennero sistemate nel Giardino cinque statue di divinità pagane – Adone, Apollo, Diana, Giunone, Venere – tuttora esistenti, dello scultore veronese Lorenzo Muttoni (1726-1778), poste a presidiare aiuole a disegno geometrico e a volute, secondo la nuova moda dei giardini alla francese seguita anche in Italia quando ebbero notorietà le architetture da giardino realizzate dal celebre architetto francese dei giardini André Le-Nôtre (Parigi,1613-1700). Un lungo viale centrale, fiancheggiato da alti cipressi, collega il varco di accesso al giardino – in asse con il portale d’ingresso del palazzo – con la grotta del genius loci e il sovrastante mascherone e divide l’ampio parterre in due sezioni, a loro volta ripartite in settori quadrangolari, al centro dei quali si aprono fontane e si ergono statue. Lungo il viale trasversale che conduce al muro di cinta orientale, è collocata una raccolta di epigrafi antiche, la più importante ancora in mano privata.  Il secondo quadrangolo è occupato dal famoso labirinto in siepi di bosso, disegnato nel 1786 dall’architetto veronese Luigi Trezza. Questo è uno dei rari esempi di labirinto esistenti nel Veneto con quelli delle ville Pisani di Strà (Venezia) e Dona dalle Rose di Valsansibio (Treviso).

Il labirinto fu un’architettura frequente nei giardini antichi. Tornò in auge, carico anche di esoterismi, in età umanistica. Si citano in proposito i disegni del Filerete, ovvero Antonio di Pietro Averlino (Firenze, 1400 – Roma, 1469), che servirono come modelli per le numerose realizzazioni nei giardini rinascimentali. Fiorentino, il Filerete imparò l’arte nella bottega di Lorenzo Ghiberti e condivise con Leon Battista Alberti la convinzione che il disegno è “fondamento e via d’ogni arte che di mano si faccia”. In punti diversi del Giardino Giusti si incontrano un simulacro di Minerva, una statua di Apollo Liricine, ovvero che compie una libagione rituale, una bella statua muliebre scolpita da Alessandro Vittoria (Trento, 1524 – Venezia, 1608). Si tratta della scultura più significativa di tutto il Giardino; all’estremità Occidentale del Giardino i resti architettonici di una fontana della fine del Cinquecento. Costeggiata la neogotica “cascina rossa”, si imbocca una scalinata che porta alla zona un tempo riservata alle serre. Lungo il muro di cinta che segue sono collocate quattro statue grottesche di nani, testimoni del gusto dell’incipiente Settecento. Si ritiene probabile che anche le quattro sculture dei nani siano state eseguite da Lorenzo Muttoni.

Il muro di cinta occidentale del giardino coincide con un tratto superstite delle mura cittadine che il Comune di Verona fece costruire tra il 1130 e il 1153 a protezione dell’abitato a sinistra d’Adige. La nuova cinta comunale si sviluppava in due segmenti: il primo, partendo dal castrum teodoriciano, sbarrava la valle di S. Giovanni, saldandosi allo strapiombo del costone orientale della collina; il secondo tratto serrava la zona pianeggiante tra S. Zeno in Monte e il canale dell’Acqua Morta. oggi interrato. Da S. Zeno in Monte, dove si ergeva la prima torre, le mura scendevano lungo il giardino dei conti Giusti e attraversavano la strada per Vicenza (oggi Via Giardino Giusti), sulla quale si apriva una porta a due fornici, per raggiungere il canale lungo l’odierna via di Porta Organa, dove si vedono ancora un tratto delle mura e il fornice della Porta.

Nelle serre, due statue di gesso: Bacco non bellatorem,  ma sostenitore dell’amore accanto al genius loci, e  Venere e Amore con un delfino ai piedi, propiziatrice della fecondità. Una terza statua, andata perduta, era dedicata a Cerere, dea della fertilità; giusto per rafforzare l’auspicio affidato a Venere. Autore delle statue e del mascherone all’ingresso della grotta, che evoca una mitica spelonca oracolare pagana, è ritenuto Bartolomeo Ridolfi, veronese, architetto e decoratore, genero di Giovan Maria Falconetto, attivo alla metà del ‘500. Lavorò per Andrea Palladio, ebbe una certa notorietà quando mise in opera i camini grotteschi di Palazzo Thiene a Vicenza, quelli di villa Della Torre a Fumane, e le grottesche nella villa di S. Maria in Stelle, appartenuta ai conti Giusti. Le tre epigrafi per le sculture le avrebbe dettate il  giureconsulto Gian Giacomo Zannandrei, dietro richiesta del conte Gian Giacomo Giusti, figlio di  Agostino. 

La Grotta, «una gran camera incavata a scarpello con riscontri di voci negli angoli», come la descrisse Scipione Maffei, nel 1732 su Verona illustrata, deve aver divertito e impressionato gli ospiti del conte Giusti con il gioco dell’eco, che richiamava la suggestione dei riti divinatori praticati dai pagani. La grotta,con un portale d’ingresso che le dà l’aspetto di un tempietto, rappresentava il mistico domicilio del genius loci, la divinità tutelare della casa. In antico era rivestita di conchiglie, coralli, madreperle e mosaici e offriva giochi d’acqua: insomma era la maggiore attrattiva del Giardino.

Una sorta di torretta campanaria, scavata nel tufo, contiene una stretta scala elicoidale con cinquantuno gradini che permettono di salire alla parte superiore del giardino. Qui c’è il belvedere, un balcone a balaustra con affaccio sopra il mascherone. Dalla Coffee house si gode di un’ampia veduta sulla città. Sul sito, due lapidi con iscrizioni latine ricordano la visita dell’Imperatore Giuseppe II, nel 1782, e un fatto d’armi risalente all’epoca napoleonica.

 

 

 

 

Un pensiero su “LIBRO. VERONA, Itinerari di Storia e d’Arte

  1. Venus, Ceres and Bacchus recall the old adage in Terence play The Eunuch c170BC that love grows cold without food and wine (Sine Ceres et Bacchus friget Venus). Also the positioning of Mars outside the gate above a bat fountain states in allegory that love was allowed into Giardino Giusti but war was excluded and left sleeping outside.

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