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ALESSANDRO LEPORE IN CONCERTO A ROMA il 9.4.2011
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Il 17 aprile 2009 Bob Dylan è stato a Roma per un concerto che può essere considerato indimenticabile. Un artista che merita tutta la nostra attenzione per la sua musica e per come la suona. Ho voluto inserire una recensione del concerto di Roma sul Blog, pur non essendoci andata, per poter lasciare una traccia di questo momento così importante per la nostra città.
A scriverla per Romalive è stata una penna molto speciale, quella di Alessandro Lepore, cantautore pregiato del panorama italiano, per il quale Dylan è stato ed è motivo di grande ispirazione. A voi la sua delicata ma profonda visione di quella sera.
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Dylan, un esempio di stile
di Alessandro Lepore
Più di quaranta anni sono trascorsi da quando Dylan cominciò a regalare al mondo autentiche poesie, probabilmente le più belle mai scritte, le quali attingono dal sociale, toccano la politica e raccontano l’amore. E Dio solo sa quanto i suoi “vecchi” brani siano di un attualità imbarazzante. Dylan ha da sempre ripudiato e respinto l’etichetta di leader sociale e portavoce di varie generazioni, condivisibile, ma questo non nega la sua assoluta genialità compositiva e la rarissima unicità del suo talento.
Da sempre è stato definito uno “antipatico”, schivo, uno di quelli che non si concede. Queste sono considerazioni dettate dalla superficialità di un giudizio che forse premia come “simpatici” coloro i quali sono prima che musicisti degli intrattenitori. Coloro i quali assecondano le voglie di un pubblico che in certi casi non vuole mettersi in discussione, di un pubblico che vuole svagarsi. E sia ben chiaro, il divertimento e l’intrattenimento sono i pilastri sui quali poggia e vive lo spettacolo, ma io credo che ci sia anche un intrattenimento più intimista che va a toccare altre corde, e che ci arricchisce in ugual misura.
Il concerto del 17 Aprile a Roma è stato per me un esempio di stile, di una classe innata che non ha mai abbandonato Dylan in tutti questi anni. Quasi due ore di musica e poesia ininterrotta. Non concede una parola se non quando, quasi a fine concerto, presenta la band. Una band strepitosa che accompagna Dylan in un susseguirsi di improvvisazione, di rock, di blues, di folk di quel cantautorato onesto e schietto che centrifuga l’anima. La sua voce è travolgente, ruvida talmente imponente da far passare in secondo piano la pessima acustica del palazzetto. Una ricerca inarrestabile, negli arrangiamenti e nella vocalità. Dylan presenta i suoi nuovi brani e stravolge le sue “vecchie” canzoni. Il pubblico si accende quando Like A Rolling Stone invade il Palalottomatica, le chitarre si fanno più aspre in All Along The Watchtower, ma il regalo più grande, per me, è la versione irriconoscibile di It’s Alright Ma. Certo le parole continuano ad essere sbiascicate, quasi incomprensibili, pronunciate con rabbia, e forse con quella timidezza di chi sa di raccontare la verità.
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Alessandro Lepore classe 1976
Sin da bambino Alessandro Lepore, chitarra e voce, si immerge nella musica. Dallo studio del pianoforte fino al Conservatorio di Udine nella sezione percussioni. La passione per la chitarra esplode dopo alcuni anni. Fortemente influenzato dalle sonorità d’oltreoceano – Jimi Hendrix, Johnny Cash, Paul Simon, Tom Waits, Bob Dylan, Bob Marley, Willis Alan Ramsey, Robert Jonson, Peter Gabriel, Willie Nelson, Townes Van Zandt, Neil Young, Jim Croce, Stevie Wonder e poi Jeff Buckley, Amos Lee, Calexico, D’Angelo, Damien Rice, M. Ward, Mark Growden, Norah Jones, Radiohead, Ryan Adams – si trasferisce negli Stati Uniti nel 2002, a Phoenix, Arizona, dove trova l’ispirazione per le sue prime composizioni, raccolte ora in due album How Much Time nel 2005 e 24/7 twentyfourseven nel 2008. Da un po’ di tempo è a Roma dove ha cominciato da solista a proporre la sua musica nei locali e sta lavorando ad un nuovo progetto per la formazione di una band a suo nome.
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Alessandro è un musicista di grande talento, come strumentista e compositore. La sua interpretazione dei brani è toccante, anche grazie ad una voce, vero dono naturale, di ampia estensione che parte dalle tonalità più basse per arrivare in alto, dove diventa graffiante, ma mai urlata.
Nei suoi testi, in parte autobiografici, ritroviamo l’amore come tema centrale, descritto in tanti piccoli quadri – che lui definisce ‘frammenti di realtà’ sul rapporto tra uomo e donna. Sa essere auto ironico quando racconta con il brano In the City (How Much Time del 2005) il suo viaggio verso gli Stati Uniti descrivendo la grinta iniziale di chi parte pieno di sogni e speranze e lo scontro, una volta arrivato, con la realtà, per capire che non è tutto oro quello che luccica. A seguire il testo del brano In The City.
foto di Silvia Lisotti www.silvialisotti.com
In the City
I had a dream hey buddy what’s happening
I was walking around with my glamorous jacket
How many funny faces you can meet in the city
I was listening to their business stuff
And walking around the question came back
What are the problems of those funny guys in the city
And I’ve always dreamed that one day I’ll be there
I could not imagine it would be a dangerous fair
For now I can see only the broken glass in the city
My poppa told me there are a lot of hungry sharks
My momma said you’ll have always to ask son
Excuse me sir which is the way to the city
But I know that you know that one day you’ll feel home
And I know there is a show and you are waiting for
I know that you are free and always you’ll be
But for now I can see only the chickens in the city
And now I’m in the city
I am in the city
La versione era irriconoscibile e infatti non l’hai riconosciuta perchè era “Don’t Think Twice, It’s All Right” e non “It’s Alright, Ma (I’m Only Bleeding)”. Per quanto concerne “Like a rolling stone”, ne ha fatta metà, ripeto metà, per dare il consueto contentino ad un palalottomatica frastornato da un’acustica pietosa. Un concerto pessimo insomma; vabbene Bob Dylan “don’t look back” ma sarebbe bastato sacrificare una canzone di Modern Times per raggiungere la sufficienza.
caro Francesco,
alcune tue osservazioni non sono corrette, tra i tanti pezzi eseguiti da Dylan a Roma c’erano sia Don’t think twice,it’s all right che It’s all right ma. Qiundi forse ti eri distratto. Per qunto concerne – come dici tu – Like a rolling stone, l’ha suonata. Non importa se ne ha fatta metà,o tutta intera, quello che va sottolineato è che grazie a questa canzone il pubblico si è acceso. Non ritengo si possa quindi parlare di contentini.
Riguardo ad una cosa, come ho scritto nella recensione,concordo con te, la terrificante acustica del palazzetto.
Detto questo, cioè i dati oggettivi, ci si inoltra nel gusto personale.
Sei liberissimo di pensare che il concerto sia stato pessimo, ma per me è triste pensare che lo giudichi pessimo solo perchè non ha suonato abbastanza brani “vecchi”.
Quindi rispetto il tuo pensiero ma mi permetto di dirti che l’essere umano, e quindi anche il musicista, si evolve.
alessandro lepore
Sono d’accordo con Alessandro: certi atteggiamenti nostalgici e conservatori non possono cogliere lo spirito vitale di un artista come Bob Dylan. E intanto in Italia continuano a trionfare melodie da Zecchino d’Oro e non possiamo aspirare ad altro che ad un “tormentone”… Chissà, magari il remake di Quel Mazzolin Di Fiori… Barbara
si Barbara, siamo circondati dal qualunquismo musicale indotto dai media e dalle major. L’importante però è che ci siano persone con occhi e orecchie capaci di capire dove è la Musica di valore.. e che queste persone, come te, si possano incontrare su questo Blog, il cui obiettivo è di crare attenzione su quel tipo di musica. Grazie del tuo contributo.
A Francesco, che ringrazio comunque, voglio dire che se è andato al concerto di Dylan, una certa cultura musicale è presente in lui e che sicuramente è stato indotto a pensare meno positivamente del concerto per colpa dell’acustica, che è veramente penosa.. a seconda poi di dove stai seduto, cambia a tal punto da rovinare tutto.. .. colpa del Palalottomatica, di cui avevo parlato precedentemente in questa nota (che fa parte di questo post: https://romalive.biz/2009/03/24/bobdylanroma/).
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.. non posso non dire che..
Portando Bob Dylan al Palalottomatica ancora una volta si evidenzia quanto Roma sia carente di spazi di taglio medio per la musica di livello. Il Palalottomatica, negli anni certamente migliorato dal punto di vista dell’acustica, rimane tuttavia inadeguato ad ospitare un artista come Bob Dylan per evidenti problemi di sound che nonostante tutti gli sforzi fatti persistono in quella location che, sottolineiamo ancora una volta, non è stata progettata per la musica. E proprio in occasione di tali concerti – dove è fondamentale ascoltare ogni singola nota, ogni parola e l’incontro delle due – che le amministrazioni locali romane e laziali dovrebbero assolutamente mettere in conto la costruzione di una location al chiuso che sia progettata in ogni suo dettaglio per assicurare un elevato livello acustico. Siamo a Roma e non si vive di soli centri commerciali!