Si, anche il Jazz è un ‘prodotto’! Per rispondere al post sul blog Tracce di Jazz prendendo spunto da una conversazione su Facebook, nata e alimentata da un certo risentimento su ciò che in questi giorni sta avvenendo a Collescipoli (#jazzitfest 2014 ovvero il primo vero grande tentativo di EXPO italiana del Jazz).
Non sono per nulla d’accordo sul fatto che la musica non sia un Prodotto. E se voi volete morire di jazz e di fame, io no! Il jazz è certamente ciò che di bello ed emozionante ha scritto il writer nel suo post, che riassumo nella frase “Noi veicoliamo un senso profondo“. Penso però che poi viene tutto il resto, ovvero, oltre all’azione puramente compositiva e performativa, c’è un importante indotto che è fondamentale per la musica stessa e di cui è impossibile fare a meno.
Persone come me, social media manager della musica o come Marc del Jazz Club “28Divino”, del proprio attaccamento e amore al Jazz ne hanno fatto un LAVORO o meglio per ora un tentativo di guadagno. Come in tutte le imprese, se qualcosa non va, noi dobbiamo fare i conti con il nostro operato. Valutare cosa abbiamo sbagliato, cosa invece è stato positivo, come migliorare, chi ci può’ aiutare, ecc.. Chi fa impresa conosce bene i termini joinventure, rischio e bilancio o almeno dovrebbe. Alla stessa maniera, ma con differenti approcci, il musicista fa impresa e allo stesso tempo è artista e ‘venditore’ della propria creatività, che è il ‘prodotto’.
Ma analizziamo la parola nella sua etimologia. PRODOTTO: Frutto di qualcuno che lo ha generato, prodotto, in ambito concreto e astratto; es.: prodotto della terra, prodotto dell’ingegno; ma se nella parola ‘prodotto’ di Marketing, si riesce a vedere il suo significato principale, ovvero ‘far arrivare a più persone possibili’ la propria musica attraverso un normalissimo e doveroso lavoro di promozione, che normalmente si fa in ogni ambito, tale principio nulla toglie al valore intrinseco e importantissimo della musica jazz. Anzi è bene che più persone sappiamo e conoscano la sua bellezza, e quella di Marco Colonna è solo uno dei tantissimi stupendi esempi di jazz made in Italy. Ma per fare questo, inevitabilmente SERVE avere anche una visione più commerciale, il che non significa ‘svalutare’ ma al contrario aumentare il valore di quel dato prodotto (disco, progetto, artista), farlo arrivare a tutti e far capire soprattutto il pensiero nascosto nell’opera del compositore o esecutore, che rappresenta il valore aggiunto dell’Arte e che distingue un disco di jazz da un dentifricio.
Per concludere, fare ‘impresa’ nel Jazz significa dare a questa musica – fatta di tanti prodotti musicali – una possibilità in più. Io credo fermamente che ogni mancanza sia una vera opportunità e in Italia oggi manca un’Industria strutturata di jazz. JazzitFest Expo, in queste ora sta provando a capire come fare per diventare Industry, creare lavoro e nuove possibilità con l’obiettivo unico di valorizzare il settore, affinché aumenti la richiesta rispetto all’offerta per tutti e non solo per le caste, semmai ce ne fossero. Non vedo cosa ci sia di male in tutto ciò.
Infine vi lascio qualche immagine da Collescipoli, dove stiamo trasmettendo ai più giovani la nostra esperienza. (ft. Credits di Davide Susa)
di C. Piraino